Prałatury personalne i ich relacje do struktur terytorialnych
Abstrakt
[Abstrakt tylko w j. włoskim / Abstract only in Italian]
Le prelature personali e le loro relazioni con le strutture territoriali
L'abituale rapportarsi tra i vescovi messi a capo delle distinte Chiese particolari o coetus fidelium deve considerarsi un normale esercizio del loro ministero episcopale, e rientra nello spirito di collegialità e nella reciproca sollicitudo che ogni vescovo deve coltivare verso la missione affidata singolarmente agli altri confratelli. Tali rapporti assumono una rilevanza particolare nel caso di strutture complementari, poiché i fedeli ai quali rivolgono la loro attività pastorale sono necessariamente fedeli di una Chiesa particolare.
Avendo l'organizzazione delle comunità e la determinazione delle funzioni episcopali un prevalente carattere territoriale, pare giustificato far ricorso alle strutture personali soltanto davanti alla necessità di sviluppare una coerente attenzione pastorale in settori che in altro modo rimarrebbero insufficientemente coperti.
In realtà, il rapporto tra strutture gerarchiche è indissociabile dal rapporto tra le rispettive funzioni episcopali o le relative missioni canoniche, allo stesso modo come il discorso sulla „communio ecclesiarum” è parallelo a quello sulla sacramentalità dell'episcopato. Questo tipo di rapporto avviene, principalmente, per una doppia ragione. Da una prospettiva di fatto, a causa della natura non statica delle comunità di fedeli, che interpellano in continuazione diverse giurisdizioni e missioni episcopali. Ma soprattutto, il rapporto tra strutture ha luogo a causa della natura stessa della funzione episcopale, essenzialmente aperta agli altri colleghi nell'episcopato.
È noto che le Prelature personali sono state ideate lungo i dibatti del decr. Presbyterorum ordinis (n. 10). Per una migliore distribuzione del clero o per la realizzazione di speciali iniziative pastorali la Santa Sede può stabilire „speciales dioceses vel praelature personales”. Il can. 297 CIC rappresenta l'unica norma codiciale che fa cenno al raccordo tra queste strutture. Il precetto rinvia agli statuti di ogni prelatura per indicare il modo di allacciare tali rapporti, stabilendo comunque un principio generale: al vescovo diocesano spetta il diritto di dare il proprio consenso perché l'attività pastorale di una prelatura personale possa avviarsi nella diocesi.
Oltre a queste considerazioni generali, la normativa canonica lascia agli statuti ogni ulteriore determinazione dei rapporti tra il vescovo diocesano e la prelatura. La missio canonica del prelato è determinata negli statuti della prelatura, i quali, a loro volta, nel circoscrivere l'ambito della discrezionalità del prelato, delineano contemporaneamente il rapporto con la legislazione del territorio.
L'esercizio della giurisdizione da parte del prelato personale tiene conto dell'appartenenza simultanea dei propri fedeli laici alla comunità territoriale, ecclesiologicamente primaria e teologicamente diversa rispetto dell'appartenenza alla prelatura. Tuttavia, la prelatura personale, come la Chiesa locale, è struttura gerarchica autonoma, i cui rapporti con le Chiese particolari si pongono su un piano di coerenza con il rispettivo compito ecclesiale.
La competenza delle due giurisdizioni sulle stesse persone postula, di conseguenza, un qualche coordinamento o intesa fra funzioni episcopali. Perciò, come capita con le altre circoscrizioni personali, le norme speciali di ogni prelatura – l'atto pontificio di erezione o gli statuti – dovranno delineare quale sarà il modo di rapportarsi ambedue le giurisdizioni, se in forma cumulativa, sussidiaria o complementare.
Infine si può dire che i rapporti tra la prelatura e le strutture territoriali rientrano in buona misura nei seguenti criteri generali:
a) Primo, la normale sottomissione nel contesto della comunione ecclesiale dell'attività della prelatura alla legislazione territoriale emanata dall'autorità competente che, a volte, sarà quella del vescovo diocesano, e altre volte, invece, quella della conferenza episcopale;
b) Secondo, il fatto che la prelatura rappresenta una struttura giurisdizionale, episcopale, autonoma, che deve agire in funzione delle finalità pastorali prefissate dalla Santa Sede, e che rappresentano il contenuto della missio canonica del prelato, e la regola voluta dal Capo del Collegio per rapportarlo con l'episcopato territoriale;
c) Terzo, che l'unità della prelatura, avente carattere universale, richiede un minimo di omogeneità di regime attorno ai fattori di propria identità, compatibile con la pluralità di legislazioni territoriali con le quali essa si trova in contatto.
La primazia della legislazione territoriale risponde ad un principio generale di comunione ecclesiale valido per qualunque attività pastorale da svolgere nell'ambito di una Chiesa particolare.
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